: chi siamo : la storia |
È l'inverno del 1985 quando due coppie di sposi comaschi sulla quarantina decidono di mettersi in cerca della possibilità di una vacanza estiva diversa: un’esperienza in missione in Africa. Un viaggio mirato, scelto dopo una ricerca e un incontro, quello con Suor Camilla, conosciuta a una proiezione di diapositive della sua missione di Zinviè, in Benin. Quello che raccontava per immagini era un paese di pastori e contadini che lavorano un terra dura ed arida. Quello che chiedeva erano i soldi necessari all'acquisto di un carro e dei buoi. A lei, Everardo, Mariella, Franco e Maria chiesero di poter "assaggiare" l’Africa, il successivo agosto quando lei stessa sarebbe ripartita. È così che il piccolo gruppo, non volendo presentarsi a mani vuote, si inventa una lotteria con la quale raccoglie ben 8 milioni di lire. Tanto impegno suscitò l'attenzione di Suor Camilla: su di loro si poteva far conto, erano un segno di Provvidenza. La prima esperienza di due settimane in missione si svolse il successivo agosto ma si rivelò piuttosto deludente perché lontana dall'idea coltivata alla partenza: l'idea del gruppo di amici era quella di andare a "fare", ad aiutare ma per il piacere dell’idea di poter essere utili in quei luoghi. Si fa per 15 giorni quello che altri hanno fatto prima di te e quando riparti è tutto come prima. Inattesa e problematica per Everardo, Mariella, Franco e Maria fu la richiesta fatta dalle suore prima di ripartire: alla domanda "Avete bisogno di qualcosa?" le missionarie risposero "Una jeep". E senza accorgersene i quattro avevano detto "sì". Da qui il panico, dovuto alla presunta incapacità del piccolo gruppo di accontentare davvero questa necessità e quasi la rabbia per una richiesta tanto inattesa e "pretenziosa". Una settimana dopo il ritorno in Italia la jeep era a disposizione. La voce era stata diffusa solo a una cerchia di conoscenti eppure in breve tempo si fecero avanti un amico, di una concessionaria comasca, che offriva una jeep a metà del suo costo e una signora che decise di fare una donazione per coprire l'acquisto del mezzo. Da qui il segno. Non si poteva più tirarsi indietro, bisognava decidere della propria vita: o decidere di dire "no" oppure imparare a dire "sì", ma credendoci. Così partì il "sì", sempre; un "sì" che, attraverso vent’anni, dura ancora oggi. A quel punto la jeep era da portare fino a Zinviè. Everardo e Franco partono a dicembre a bordo del mezzo per attraversare il deserto. Mariella e Maria invece a gennaio arrivarono alla missione ad aspettarli. Ed ecco che uno dei primi giorni del nuovo anno Zinviè vide arrivare e fece festa ad una jeep e due uomini "color deserto". Tornati da questa seconda esperienza i quattro sentono subito il bisogno di darsi un nome per evitare di vedersi citare con nome e cognome per quello che facevano: scelsero "Amici di Zinviè" dal nome della prima missione aiutata. I lavori del gruppo proseguirono realizzando piccoli ma importanti progetti sempre in Africa. C'era però la necessità di trovare il modo di metter insieme dei soldi per poter continuare e soddisfare quelle richieste. Mariella aveva già dato inizio alla preziosa tradizione del "documentario" in cui assemblava le diapositive più significative dei loro viaggi da proiettare a piccoli gruppi di persone interessati all'attività degli Amici di Zinviè. Così si radunava qualche donazione. Ma non era ancora sufficiente. È da una vacanza in un villaggio turistico che Luciano, un amico e sostenitore, prese l'idea di creare degli spettacoli teatrali, o per meglio dire, delle brevi parodie di storie famose, da proporre in delle serate unitamente al documentario. Da qui iniziò la "ribalta" degli "Amici di Zinviè". |