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Come le suore Camilliane di Zinviè spesso ricordano con orgoglio è da loro che l'attività del gruppo è cominciata, da quei primi otto milioni di lire per l'acquisto del necessario per la coltivazione e dalla prima jeep donata a Suor Camilla, Suor Rosa e Suor Lina.
E Zinviè resta sempre la prima e immancabile tappa nei viaggi che ogni anno, tra marzo ed aprile, Mariella e compagni compiono. Una sola linea aerea collega, ad oggi, l'Europa e quel lembo di mondo chiamato Benin: è l'Air France che bi-settimanalmente offre il volo Parigi - Cotonou. Quella che si ritrova allo sbarco è tutta un'altra aria, la vicinanza all'equatore e l'affacciarsi del paese sull'oceano rendono il clima di un caldo umido difficile da sopportare al primo impatto. Ma c'è "da fare", bisogna andare a Zinviè.

Caratteristica di questi viaggi in Africa è che le valige sono ingombre oltre che di abiti leggeri e comodi, e di oggetti e indumenti da regalare, anche di numerose scatole di medicine. Vi sono infatti alcuni tipi di medicinali, come le garze grasse alle fitostimoline per medicazioni (molto utili per la cura dell'ulcera di burulì e delle piaghe) e medicinali per la cura delle malattie intestinali, che in Benin e in Burkina Faso non sono commercializzati ed è quindi impossibile per i missionari recuperarle se non attraverso questi "trasporti eccezionali" frutto di impegno e dono.

Il viaggio in Africa dura due settimane e si snoda tra le missioni camilliane sostenute in Benin e Burkina Faso. Dopo un paio di giorni nella missione di Zinviè, durante i quali si visitano il dispensario di Zunto e l’asilo (costruiti e sostenuti dal gruppo), e in cui non manca una tipica sosta al mercato del paese, l'insolita comitiva parte a bordo della jeep messa a disposizione dalle suore, in direzione Burkina.
Pittoresca la visita ai giganteschi baobab e alle tatasombà, le rare capanne a due piani, inserite negli ultimi anni nelle guide turistiche come bene dell'umanità ma successivamente distrutte, in molti esemplari, dalla costruzione della statale, finalmente asfaltata, che collega Benin e Burkina Faso.
Lungo la strada la temperatura è difficile da sopportare se, come solitamente capita, il mezzo di trasporto non è dotato di aria condizionata. Ci si organizza alla meglio e così, con un secchio d'acqua a bordo, bandane e foulard, e l'aria che corre veloce, si trova un po' di refrigerio e sollievo.
Il tragitto è lungo e si guida a turno; dai villaggi vicini alla strada ogni tanto si affaccia qualche persona incuriosita, qualche bambino a cui regalare caramelle o uno dei pensierini portati dall'Italia in previsione di questi incontri. Necessaria una tappa a spezzare il viaggio, e si impone di fermarsi in un hotel perché non ci sono missioni di riferimento a cui appoggiarsi a metà strada: anche in mezzo all'Africa qua e là sono trapiantati questi pezzetti di occidente.

Burkina Faso: 1000 km di distanza da Zinviè e già aria diversa. Non più caldo umido che quasi li scioglie ma un caldo secco e intenso che, arrivando fino a cinquanta gradi, cuoce i meno preparati; la mattina presto il termometro si abbassa di qualche manciata di gradi e per gli abitanti del luogo quello è "il freddo": capita così di vedere i più piccoli coperti da berretti di lana.

Tappa a Ouagadougou: qui il centro nutrizionale cerca disperatamente di dare sostegno a più bambini possibile; ci si accosta a bimbi di due anni che non pesano neanche cinque chili, piccolini così denutriti che non possono alimentarsi che con le flebo perché i loro corpicini, non abituati al cibo, non potrebbero sopportarlo. Altri affrontano la prova delle pappe ma assunte a dosi minuscole grazie alla pazienza delle loro mamme che non li lasciano un attimo. Gli incontri con bambini denutriti e malati qui sono all'ordine del giorno ma non ci si può certo fare l'abitudine, tutto in quei luoghi stride con la ricchezza e il progresso che conosciamo in occidente.
E poi Fratel Vincenzo, frate e missionario fin nelle ossa, con una croce grande e rossa cucita sul petto da quasi trent’anni. Sempre a Ouagadougou si occupa dei più poveri, dei vecchi, dei malati. Preparando pomate ed impasti con i medicinali a sua disposizione cura gli abitanti del luogo dalla malattia che li mangia: la lebbra. Nulla può mettere limite al suo lavoro: i poveri sono i suoi padroni. Niente protezioni, niente guanti durante le mediazioni: deve poter toccare le piaghe di Cristo. Questo missionario ultrasettantenne continua a lottare, con l'aiuto di alcuni volontari, contro la lebbra, piaga che il governo locale dice debellata, ma che in realtà continua a diffondersi andando a colpire sempre più frequentemente anche i bambini.
E sempre questo omone dalla barba bianca e dal cuore grande a occuparsi delle "vecchie" che vengono abbandonate dalle loro famiglie e si trovano costrette a sopravvivere, o a perdersi, per la strada. Le accoglie in capannoni il cui pavimento è diviso in "quadroni"; ad ognuna lo spazio di due di questi per tenere le proprie cose e dormire. La vita per loro qui si svolge filando il cotone raccolto per strada, caduto dai camion che lo trasportano in gigantesche quantità: e così le giornate si riempiono e si ritrova un senso al il proprio vivere.

Continua il viaggio, i rappresentanti degli Amici di Zinviè sono generalmente ospitati per la notte nelle missioni sostenute, camilliane e non. Le suore offrono sempre tutto quello che possono, quanto ad accoglienza e attenzioni, per dare segno della loro riconoscenza per il lavoro del gruppo.
Naturalmente ci si ferma a Koupela presso la Comunità di Suor Bartolomea. Qui il dispensario, realizzato con i proventi di "Giulietta e Romeo", funziona a pieno ritmo. I commessi viaggiatori visitano anche la vicina "scuola dei sassi bianchi" che accoglie bambini che non sono ben voluti nella scuola comune a causa del loro villaggio di provenienza; le suore si occupano della loro istruzione e gli Amici di Zinviè provvedono a consegnare ogni anno dei piccoli doni agli alunni oltre ad assicurare, da alcuni anni, un pasto ogni giorno... e un piatto di riso non manca mai né per i piccoli studenti né per i bambini provenienti dai villaggi vicini.

Si fa visita successivamente al centro di Dovougon di Padre Chrystian e Padre Bernard, costituito da un dispensario, casette per lebbrosi e un luogo di cura per malattie infettive e Aids. Molte attività sono previste per grandi e piccini ospiti del centro, e il clima si accoglienza coinvolge anche i rappresentanti di quegli "Amici di Zinviè" che ormai da anni sono "amici" anche di Dovougon attraverso le forniture di medicinali.

Di ritorno in Benin, un'altra tappa importante è quella dalle suore Francescane Spagnole (Suor Julia e Suor Lola) che a Zagnanado sono specializzate nella cura dell'"ulcera di burulì", una malattia che colpisce la pelle distruggendola con le piaghe. Con pazienza e maestria operano quotidianamente, con i mezzi a loro disposizione, trapiantando lembi di pelle sana a guarire la deturpazione, una sorta di chirurgia plastica per lenire la sofferenza e ridare speranza. Tanti i bambini che passano tra le loro mani e che vediamo spesso ritratti, bendati e allettati, nelle foto del documentario: per loro ogni visita è sollievo quanto le cure donate dalle missionarie. Questo centro si occupa anche della cura della tubercolosi e svolge funzioni di dispensario, consultorio e centro nutrizionale, un'oasi preziosa ai margini della fitta foresta.

È poi un piacevole obbligo la visita all'Orfanotrofio di Abomey ("Saint Enfant Jesus"), attivo ormai dal 1989. Qui i circa 320 bambini di tutte le età sono curati e ben nutriti, Suor Pancrace e le sue consorelle insegnano loro a leggere e scrivere. Per loro la denutrizione è d'amore; troppo numerosi per avere ognuno un posto sulle ginocchia delle missionarie, imparano presto a prendersi cura uno dell'altro e i più grandi aiutano i più piccoli, come in una gigantesca famiglia. Ma quando capitano visite come quelle del piccolo gruppo degli Amici di Zinviè, ognuno cerca di accaparrarsi una carezza e un po' di attenzione da quelle persone "sbiadite" e di passaggio ma pronte a regalare sorrisi e compagnia.
Circa 200 di loro sono "adottati a distanza" tramite gli Amici di Zinviè, da famiglie italiane che ne curano così il sostentamento. Ogni volta questa è una tappa laboriosa: i bambini vanno ordinati e tenuti buoni per l'abituale foto. Non un'unica foto di gruppo ma una serie di scatti singoli ai bambini che, ad uno ad uno, rispondono all'appello, così da poter mostrare ai tanti "genitori adottivi" il frutto del loro dono. Uno dopo l'altro passano davanti all'obbiettivo: qualcuno è perplesso, qualcun’altro incuriosito, qualcun’altro ancora lancia un timido sorriso a dire il suo grazie.

In fine di nuovo casa base a Zinviè, qui si arriva, da qui si riparte. Da ogni viaggio si riporta in Italia un grande entusiasmo ma anche una serie di obiettivi da realizzare, tanti "sì" già detti prima ancora di averne i mezzi, ma sicuri che "sì, si può fare!" perché la fede guida i passi degli Amici di Zinviè e l'Aiuto arriverà se si continuerà a lavorare con impegno e speranza, nella fede.